Esattamente 10 anni fa, il 26 Novembre del 2014, in un mattino grigio, la delegazione dell’Unione Inquilini formata da Walter De Cesaris, Massimo Pasquini e Guido Lanciano, varcava la soglia del Ministero delle Infrastrutture per una convocazione irrituale e urgente (unico sindacato convocato, niente di scritto ma solo una telefonata al cellulare). Più una conversazione informale che una convocazione vera e propria; ad aspettarli il Capo Gabinetto e il Segretario della segreteria tecnica del ministro. Un incontro breve, gli emissari del ministro annunciano la resa e chiedono l’armistizio: il decreto di vendita all’asta delle case popolari verrà ritirato e alla Conferenza Stato Regioni sarà inviato un nuovo testo, senza più vendita all’asta. Un braccio di ferro durato circa due mesi e l’avvio di un nuovo percorso che si concluderà poi a gennaio del 2015.
Per una volta, le “Tigri di Mompracem” affondano l’ammiraglia della Compagnia delle Indie!
Oggi, a distanza di 10 anni esatti, ricostruiamo le tappe di questa vertenza, tanto improvvisa quanto impetuosa, come un fiammifero acceso sulle sterpaglie secche.
Mettiamo le lancette indietro, due mesi prima di quel 26 novembre. E’ il 22 settembre e sulla stampa compare sparato il primo articolo, a firma del segretario nazionale dell’Unione Inquilini, in cui vengono annunciati i contenuti del Decreto, che nessuno ancora sa che esiste. Infatti lo intercettammo (anzi, ormai, possiamo anche togliere il segreto, e fare in nomi, lo intercettò il compagno Massimo Pasquini) che era ancora in gestazione presso la Conferenza Stato Regioni. Avvertiti il segretario e Vincenzo Simoni (in quel momento il Presidente nazionale del nostro sindacato), fu convocata una riunione d’urgenza della segreteria e si decise di partire all’arrembaggio e senza compromessi o diplomazie. Nell’articolo si diceva testualmente: “Vendere all’asta le case popolari è come rubare in Chiesa le offerte per i poveri”: una vergogna il solo pensarlo. Nell’articolo si leggeva: “invece di vendere all’asta le case popolari, perché non si risanano le 30/40 mila che non sono assegnate perché debbono essere ristrutturate?” Oggi, dopo 10 anni, sono diventate il doppio!
Da quel fine settembre, partì una campagna nazionale di assemblee, raccolta di firme e manifestazioni, una serie tambureggiante di iniziative lungo tutta la Penisola. A fine settembre, tutto il materiale è pronto: volantino, manifesto, modulo per la raccolta delle firme. Ottobre Sfratti Zero è la miccia che fa esplodere la protesta. Si comincia con l’invio di una lettera aperta a tutti i Presidenti delle Regioni: fermate il decreto che uccide l’edilizia residenziale pubblica. Incredibilmente, la prima che risponde è il Friuli Venezia Giulia che il 6 ottobre prende posizione ufficiale contro il decreto.
Qualche giorno per organizzarsi e poi si parte: Roma, che avrà un ruolo centrale anche di coordinamento di tutta la campagna, è la prima che inizia il 20 ottobre con una assemblea molto partecipata a Primavalle, poi anche a Spinaceto e a ruota assemblee il 21 a Napoli e Pesaro. Da Primavalle si lancia la proposta del 6 Novembre come giornata di protesta: tutti sui tetti dei palazzi delle case popolari con lenzuola, striscioni, fumogeni per dire no allo scempio. Intanto, a Napoli il 24 ottobre, si svolge la prima manifestazione di fronte al Consiglio Regionale che porterà la Campania a prendere posizione ufficiale contro il decreto. Il 29 ottobre scenderà in piazza Livorno.
Il 6 Novembre è il giorno della protesta sui tetti. A Primavalle, però, si manifesta anche in strada, si improvvisa una sorta di blocco stradale, cassonetti vengono messi in mezzo alla via, c’è tensione che si scioglie quando viene dato l’OK a un corteo per il successivo 10 novembre. Tutta Roma viene coinvolta dalla protesta sui tetti: Primavalle, Spinaceto, Tiburtino, Tor Bella Monaca e altre zone ancora. La stampa nazionale comincia ad accorgersi del movimento. Il Manifesto da conto con sorpresa di questo risveglio degli assegnatari delle case popolari, un tam tam che estende la protesta a macchia d’olio, coordinata dall’Unione Inquilini: “La pioggia incessante e l’allerta meteo non ha fermato la protesta degli assegnatari con la parola d’ordine: “No alla vendita delle case popolari!” previsto dall’art. 3 del decreto Lupi” (il medesimo che poi, all’articolo 5, conterrà la soppressione del diritto alla residenza per gli occupanti). Il 10 novembre un grande corteo sfila per le strade di Primavalle, fino a Torrevecchia. Il 21 è la volta della manifestazione sotto la Regione Lazio che spinge l’Assessore, che è dello stesso partito del premier Renzi, a schierare anche il Lazio contro il decreto.
La protesta non si ferma: ancora una manifestazione a Livorno, poi a Firenze e poi assemblea a Milano, Bergamo, Padova, persino a Cuneo e, dall’altro capo del Paese, a Messina e altre ancora. Le immagini dell’insorgenza nelle case popolari fa il giro dei quotidiani e delle televisioni locali, arriva sui TGR e alla fine anche ai telegiornali nazionali (sul TG2), la 7 e Sky fanno servizi, addirittura sulla TV dei Vescovi si organizza un dibattito a cui partecipa il segretario nazionale che ha un duro scontro con il Direttore Generale del Ministero delle Infrastrutture per la definizione, rivendicata in diretta, dell’intera operazione voluta dal governo come “crimine sociale”.
Arriviamo, così, a quel fatidico 26 Novembre, alla convocazione “clandestina” dell’Unione Inquilini al Ministero, al comunicato che quello stesso giorno la segreteria nazionale invia a tutta Italia: il Decreto sarà “congelato” per essere ripresentato. Tradotto: glielo abbiamo fatto ingoiare. Il “nostro vecchio” Simoni, intitolerà a tutta pagina sul sito: “Avevamo ragione noi! Clamorosa retromarcia del governo”.
A fine gennaio, poi, uscirà un nuovo testo. Il Decreto Lupi rimarrà una orrenda schifezza: in particolare il ricordato articolo 5. Ma l’affondo generalizzato contro le case popolari non passa. Anche se, una privatizzazione strisciante del patrimonio ERP è continuata nel tempo e dura fino ad oggi, a partire dalle Regioni, e che ha portato in appena 10 anni a ridurre di oltre 100 mila alloggi il patrimonio ERP in Italia e a raddoppiare il numero delle case vuote e non assegnate. Ma questa è la storia di oggi e lo scontro che dobbiamo portare avanti contro il cosiddetto “Piano Casa” di Salvini e i progetti di dismissione che le Regioni e comuni portano avanti (in maniera spesso uniforme tra maggioranze dichiaratamente di destra e centro sinistra).
Una lotta vinta, non è mai vinta per sempre e, spesso, il veleno si nasconde nei dettagli (così nel Decreto Lupi, per la vendita dei cosiddetti condomini misti) . Ma la storia qualcosa ci insegna: solo partendo dal basso e dalle lotte puoi pensare di proporti l’obiettivo di condurre una battaglia vincente, sapendo coniugare chiarezza di obiettivi, determinazione, tenacia e una sapiente campagna di comunicazione. La potremmo definire una “sapienza di lotta” che è patrimonio prezioso dell’Unione Inquilini.