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La casa e il Piano Strutturale di Bilancio: otto righe ma non sono acqua fresca, casomai acqua di fogna

Il governo ha presentato il Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine, che altro non è che il quadro generale degli indirizzi e degli obiettivi programmatici in cui poi si inserirà la prossima Legge Finanziaria (o come si chiama) e anche le successive.

Non va preso sottogamba. Quello che avverrà, “in nuce”, sta scritto lì: quello che sarà dei tagli al welfare, la corsa all’aumento delle spese militari, il futuro delle pensioni, lo scippo del TFR, le privatizzazioni, la flat tax e i regali agli evasori, ecc.

Si tratta di un documento di oltre 200 pagine, che dovrebbe essere oggetto di un dibattito pubblico vero e, invece, passa come una specie di testo universitario, per studenti che debbono fare un esame o per specialisti. Invece riguarda la vita delle persone, anche per le politiche sulla casa.

Sono otto righe su più di 200 pagine. Uno potrebbe dire, questione insignificante, trattata così, tanto per dire. Invece, non è così. Sono 8 righe che indicano una strada. Il problema è che è quella sbagliata. Dobbiamo saperlo, dobbiamo dirlo, non accontentarci di protestare quando saranno varati i provvedimenti, perché saranno frutto di quelle otto righe.

L’approccio potrebbe anche sembrare positivo, perché le otto righe stanno in un capitoletto dal titolo “Le misure di contrasto alla povertà”. Purtroppo, non è oro tutto ciò che luccica oppure, per essere più grevi, non è cioccolata tutto ciò che è marrone. Infatti, stavolta è qualcosa che odora di fogna.

Ma andiamo alle otto righe:

“Al fine di ridurre la povertà abitativa, il Governo si impegna a realizzare politiche abitative e di supporto ai soggetti vulnerabili con interventi come il social housing e misure per la realizzazione di alloggi per lavoratori e gli studenti fuori-sede attraverso il Piano Casa Italia, che potrebbe fare leva su strumenti di garanzia di carattere finanziario. Ulteriori interventi riguarderanno le opere di urbanizzazione nei comuni medio-piccoli, la valorizzazione degli immobili demaniali per adibirli a finalità abitative e l’erogazione di incentivi orientati al reperimento dell’alloggio, in caso di nuovi assunti.”

Per prima cosa, quello che non c’è. Dimentichiamoci il rifinanziamento del fondo sociale affitti e del fondo per la morosità incolpevole. Quelli spariti per sempre: i soldi servono per le armi e per finanziare i regali fiscali al blocco di interessi cui guarda il governo. Non si parla mai di ERP, il popolo delle 650 mila famiglie che hanno fatto domanda di casa popolare, sono nelle graduatorie in posizione utile (tradotto, hanno certificato il diritto ad averla) ma che rimangono senza risposta, si mettano l’anima in pace: per loro non c’è nulla.

Avremo, al suo posto, il PCI, che non è il Partito Comunista Italiano, ma il Piano Casa Italia, il cui fulcro è il Social Housing. Ma cosa è il social housing italiano? Una cosa che, con il public social housing europeo, c’entra come i cavoli a merenda. E’ il meccanismo per cui lo Stato mette le agevolazioni, i privati mettono i soldi e decidono gli affitti, con rendimenti che debbono essere remunerativi, il cui riferimento è il mercato. Canoni incompatibili con quelli delle 650 mila famiglie delle graduatorie, che hanno cioè i redditi di accesso all’ERP e anche con quelli delle oltre 900 mila famiglie che vivono in affitto e che sono sotto il livello della povertà assoluta. D’altra parte, in queste otto righe, c’è anche una noticina che fa riferimento ai PINQUA, esattamente la medesima operazione.

Ugualmente per gli studenti fuori sede: il riferimento non è quello degli studentati pubblici ma anche qui quello dell’intervento privato, agevolato dal pubblico. Il modello “social housing” applicato agli studenti fuori sede.

Poi, non può mancare l’altra parola magica che si aggiunge sempre a “social housing”, ovvero “valorizzazione” degli immobili demaniali che, alla fine vuol dire la medesima cosa: non si tratta di operazioni volte ad affrontare la precarietà abitativa in termini di ERP a canone sociale, ma la vecchia, stantia, fallimentare minestra riscaldata del “social housing all’italiana”, figlio di un modello anche nel governo del territorio, in cui chi comanda sono la privato e la rendita e il pubblico si fa ancella, fornisce le agevolazioni e dà gli strumenti.

Per dare una verniciatina e strizzare l’occhiolino a “sinistra”, si parla delle case per i lavoratori, cioè si parla delle abitazioni per rispondere alle esigenze delle imprese che hanno bisogno di mano d’opera e che debbono “importarla”. Come si fa? Distruggendo il sistema pubblico. Così a Milano, circa tremila alloggi ERP non assegnati perché non agibili, invece di essere ristrutturati per essere assegnati agli aventi diritto, vengono sottratti per darli alle imprese.

Il PCI (Piano Casa Italia) del governo prende spunto e generalizza il modello Lombardia/ Milano al resto del Paese. Con la contraddizione non piccola che Lombardia e Milano sono governati da coalizioni politicamente differenti ma che, almeno su questo, sembrano allineate sul medesimo impianto regressivo. Un vulnus pesante sulla credibilità di una opposizione vera.

Vi ricordate i tempi dello schiavismo? Gli schiavi lavoravano le terre, poi il padrone gli dava da mangiare e la baracca in cui vivere. Lo schiavo, poi, doveva pagare l’alloggio e ciò che prendeva allo spaccio per sopravvivere e alla fine era sempre in debito con il padrone.

Il tempo passa ma il meccanismo neo servile rimane.

La vera beffa è che questo impianto verrà presentato dal nostro governo in Europa per raccontare la balla degli interventi sulla casa per ridurre la povertà.

O ci mettiamo all’altezza di questa sfida o se rincorriamo e basta, abbiamo già perso.

Noi, a partire dal Rapporto all’ONU sulle violazioni del diritto alla casa in Italia, ci stiamo provando.

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