La fase storica che stiamo attraversando impone a tutti e a tutte una riflessione sulla necessità di una alternativa sindacale al polo concertativo, che sia capace di rappresentare gli interessi della classe lavoratrice, in maniera diffusa e sistematica.
Dobbiamo interrogarci sui motivi della sconfitta storica di cui anche noi siamo parte.
Alla grande stagione di lotte sindacali e sociali degli anni 60/70 è seguita quella della
concertazione, iniziata formalmente nei primi anni ‘90.
Quella stagione, terminata con la vittoria degli interessi padronali e del capitale finanziario e che cgil, cisl e uil costantemente sostengono, ha determinato gli arretramenti che conosciamo: la cancellazione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, quella della scala mobile, la controriforma delle pensioni con ritorno al sistema contributivo e alla nascita dei fondi pensionistici integrativi nei cui c.d.a. siedono i rappresentanti dei sindacati concertativi, il precariato generalizzato e lo smantellamento del welfare tramite le privatizzazioni dilaganti nonché una costante erosione dei livelli di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, le cui morti sul lavoro ed infortuni, continuano ad aumentare.
La concertazione sindacale di cgil, cisl e uil è stata la causa principale di tutte le sconfitte e degli arretramenti della classe lavoratrice.
L’apparato concertativo ha imposto che i diritti sindacali, sia quelli definiti dallo Statuto dei
Lavoratori, che quelli previsti nei CCNL e negli accordi interconfederali, siano esclusivamente di cgil, cisl, uil e loro satelliti rendendo così la presenza nei luoghi di lavoro sempre più difficile al sindacalismo di base.
Da qui l’esigenza, pur salvaguardando le diverse e importanti esperienze, di una riflessione sul “che fare”.
Tale riflessione rapportata ai giorni nostri, risulta ancora più necessaria in un contesto
internazionale di guerra e di aumento della spesa militare con la conseguente recrudescenza nella militarizzazione della società a cui stiamo assistendo.
Si tratta di intrecciare l’impegno contro la guerra con una ripresa di iniziativa unitaria in difesa degli interessi di classe.
Siamo in un Paese dove la povertà assoluta stimata dall’Istat nel 2020 riguarda 5,6 milioni di persone, mentre la povertà relativa riguarda un totale di circa 8 milioni di individui (il 13,5% del totale). La condizione di povertà non è più “prerogativa” dei disoccupati, bensì anche degli occupati in “lavori poveri” e/o precari.
In altri paesi a capitalismo avanzato l’esplosione dell’inflazione negli ultimi anni ha determinato la lotta salariale, attraverso ondate di scioperi molto importanti come in Gran Bretagna, in Francia e negli USA: diversamente, in Italia, tutto sembra essere relegato dai sindacati concertativi, padronato e istituzioni, a scaramucce di stampo propagandistico o poco più.
Le cause strutturali della situazione sono da ricercarsi in particolare, nella scelta di rilanciare il capitalismo italiano, messo in crisi negli anni ‘70, riducendo l’occupazione industriale nelle grandi imprese e polverizzando la produzione sul territorio in modo da contenere le rivendicazioni, dislocando lavoratrici e lavoratori lontano dalle grandi concentrazioni operaie cosa che ha permesso una ripresa della redditività delle imprese, basata su salari bassi e con consistenti componenti variabili.
Anche il declino scolastico e l’abbattimento della spesa per l’istruzione sono la diretta
conseguenza di queste scelte. E’ sufficiente considerare l’abbandono scolastico nei licei (attorno al 3,5%) rispetto a quelle degli istituti tecnici (attorno all’8%), dei professionali (superiori all’11%) ed esaminare le percentuali di abbandono scolastico dei ragazzi nativi italiani (circa il 4%) e quelle dei ragazzi di origine straniera (superiori al 12%) per capire la natura classista del sistema educativo e quindi della società.
Questo per non parlare del comatoso stato dei trasporti nel nostro Paese, si favoriscono le
privatizzazioni che si vogliono estendere anche al settore del TPL, nonostante la sua natura di servizio pubblico ed universale. Il degrado del sistema dei trasporti ferroviari, soprattutto quello regionale e locale, è ormai evidente. Idem per il sistema del trasporto aereo – aeroportuale in cui si è arrivati alla cancellazione della Compagnia di Bandiera e alla frammentazione del sistema aeroportuale, con il dilagare della precarietà e dei bassi salari per gli addetti.
La sanità pubblica ha vissuto la medesima deriva, mancanza di personale, liste di attesa
lunghissime, necessità, per chi se lo può permettere, di rivolgersi al settore privato, presenza di una massa crescente di lavoratrici e lavoratori, in particolare nel settore privato, con salari bassissimi e condizioni di lavoro indecenti.
Serve quindi un’iniziativa forte sulla guerra e sull’economia di guerra, sul lavoro stabile e
garantito, sul salario in tutte le sue accezioni e sulla riduzione dell’orario di lavoro; tutti temi che devono essere affrontati sul piano nazionale, se il sindacalismo di base vuole avere una funzione che vada oltre le battaglie di resistenza che riesce ad intessere e a organizzare sul piano territoriale e nei singoli luoghi di lavoro.
Per condurla, serve un percorso unitario, la capacità di andare oltre le logiche di bottega e oltre le mobilitazioni locali, aziendali, categoriali e sottocategoriali, sulla base di una proposta generale, che le intrecci e le rappresenti tutte su un piano generale nazionale .
Il sindacalismo di base deve tornare ad assumere il carattere di soggetto politico nel senso
proprio ed alto del termine ed avere una conoscenza approfondita delle trasformazioni
produttive. Pensiamo solo a cosa comporta l’Intelligenza Artificiale per milioni di lavoratori nella costruzione del conflitto.
Per affrontare questo compito servono tutte le energie esistenti che solamente un lavoro comune può essere in grado di mettere in rete, portando risultati tangibili, suscitando interesse, intercettando nuove energie, ponendosi in relazione con i movimenti sociali. Per questo è necessario che le organizzazioni sindacali di base e conflittuali che condividono questa necessità, avviino un percorso unitario che formalizzi, come primo passo verso quell’unità organizzativa che sembra sempre più necessaria in questa fase storica, un patto d’azione nazionale, le cui forme vanno definite in tempi brevi verificando modelli organizzativi di sindacati a noi vicini come ad esempio SUD.